L archivio di campionario di una seteria comasca terzista, specializzata in cravatte e foulard per i maggiori brand del lusso, è il protagonista di questo case history.
La componente storica è ovviamente fondamentale, ma anziché partire dall’inizio, come si deve fare in tutte le narrazioni di storie, lo storytelling, dobbiamo partire da quello che è accaduto il mese scorso su LinkedIn, un canale social fondamentale per stabilire contatti importanti per la propria professione, qualsiasi essa sia.
Il 26 giugno mi scrive su LinkedIn, Giorgia Rozza questo messaggio
Buongiorno, sto cercando di ricostruire la storia delle seterie Bruno Ladavas srl di Como (ex Ladavas & Girola snc, fondata nel 1957). Bruno Ladavas lavorò da Ravasi e poi da Binda. Può aiutarmi?
Il messaggio m’incuriosisce molto, per cui rispondo subito di essere interessata a parlarle per capire meglio la questione: ci sentiamo telefonicamente quello stesso giorno.
Parliamo a lungo ed emerge una storia molto interessante, che accomuna molti terzisti della moda e del fashion, in particolare dell’ambito serico e i loro archivi di campionario, spesso buttati al macero, anziché essere valorizzati e non solo culturalmente, ma soprattutto economicamente.
Bruno Ladavas disegnatore di foulard e cravatte per Ravasi e Binda
La nipote di Bruno Ladavas, Giorgia, purtroppo ha poche informazioni sull’attività del nonno, persona molto amabile e gioviale, ma che non parlava in famiglia del suo lavoro.
Il fatto che più le dispiace è di non avere neppure un suo disegno ed ecco perchè si è messa a cercare un archivio della moda che possa conservarne.
Parlando con alcune persone che avevano lavorato con suo nonno e con il mio aiuto, Giorgia è riuscita a ricostruire le tappe principali della storia lavorativa di Bruno Ladavas, che aveva iniziato la sua carriera di disegnatore per Guido Ravasi, “il signore della seta” com’è stato definito in una mostra a lui dedicata dalla Fondazione Antonio Ratti dal titolo “Guido Ravasi. Il signore della seta“.
Negli anni Venti i famosi “tessuti d’arte” di Ravasi erano stati premiati alle Esposizioni Internazionali di Arti Decorative e rivestirono papi e regine, arredarono case di esponenti della finanza, della politica e della cultura dell’epoca.
Il suo nome però divenne famoso al largo pubblico per la cravatteria, nota per la qualità dei tessuti, ma soprattutto per l’estro creativo e gli accostamenti cromatici, il cui merito si deve quindi anche al disegnatore Bruno Ladavas.
Da disegnatore a imprenditore tessile
Durante il suo apprendistato presso l’artista tessile Ravasi, Bruno Ladavas conosce Gianni Binda, che stava facendo come lui l’apprendistato e che nel 1945 fonda a Como, insieme a Ferruccio Bernasconi, la sua ditta tessile (Binda) con tessitura e laboratorio di stampa, specializzata nella confezione di fazzoletti, sciarpe e cravatte, per il mercato italiano ed estero.
Bruno Ladavas inizia a collaborare come disegnatore di cravatte con Binda, ma nel 1957 decide di aprire anche lui una sua ditta tessile specializzata in foulard e cravatte con il socio Piero Girola.
Nasce così la Ladavas e Girola snc che chiude nel 1978, quando contestualmente nasce la “Seterie Bruno Ladavas srl” sempre specializzata in disegni di foulard e cravatte per i principali clienti dell’azienda precedente, fra cui:
- Cardin, Lanvin e Dior (Parigi);
- Gucci (Firenze);
- Burberry e Daks (Londra);
- Anthime Mouley (Ginevra).
E’ proprio a quest’ultima azienda sua cliente, la Anthime Mouley di Ginevra, che nel 1988, quando ha ormai 78 anni, Bruno decide di vendere l’archivio di campionario, prima di vendere anche l’azienda, che però il nuovo titolare continuerà chiamare nello stesso modo fino al 2011, a dimostrazione della rinomanza del nome di Bruno Ladavas nel settore.
La morale della storia: conservare e digitalizzare l’archivio di campionario
I disegni di campionario, quindi l’archivio di campionario nel suo insieme, sono frutto di creatività ed ingegno, per cui hanno un valore economico intrinseco, oltre al valore commerciale per cui sono nati, come si è visto anche dal case history.
Per questo motivo gli archivi di campionario dovrebbero anzitutto essere debitamente conservati fisicamente, ma soprattutto digitalmente.
La conservazione fisica del campione, in particolare delle classiche “tirelle” di campionario può essere suscettibile di danni di vario genere, ad esempio:
- danneggiamento più o meno accidentale;
- dispersione per varie cause (campioni lasciati ai clienti, persi nei vari uffici o magazzini dell’azienda o vendita dell’attività con il campionario);
- asportazione dalle tirelle di una parte del campionario (campione di stoffa, ricamo, materiali, dettagli del disegno o altro)
L’archiviazione digitale dei campioni per gestire i dati
Una corretta archiviazione digitale consente l’integrazione con il gestionale aziendale, con relativa gestione di tutti i dati relativi a quella proposta/campione a quel determinato cliente.
Permette inoltre una rapida ricerca da parte dei vari uffici (direzione, ufficio stile, commerciale e produzione) in funzione di una sua riproposizione ai clienti, qualora quel campione non sia stato scelto, o semplicemente come fonte d’ispirazione per nuovi campioni, senza doversi affidare solo alla memoria di chi lo ha realizzato oppure lo ha archiviato.
La corretta gestione ed archiviazione digitale del campionario consente anche un’ottimizzazione del magazzino, nel momento in cui si decide cosa proporre al cliente in base alle giacenze oppure agli acquisti.
Sostituendo poi il disegno manuale, con quello digitale, i campioni possono essere immediatamente archiviati digitalmente, ma soprattutto il campione digitale può essere mostrato in anteprima al cliente per verificare il suo interesse: solo successivamente sarà creato il campione fisico, economicamente più impegnativo.
L’archiviazione digitale rende molto più facile la successiva creazione di:
- cataloghi digitali
- show room digitali
- un museo d’impresa virtuale®
L’archivio di campionario infine (last but not least si dovrebbe dire), deve essere valorizzato economicamente nel suo insieme da esperti, perché in questo modo può diventare un vero e proprio asset aziendale e può essere veduto insieme all’azienda come ha fatto nel 1988 in modo molto lungimirante Bruno Ladavas, oppure parzialmente per quel che riguarda linee non più strategiche.
Le foto ci sono state fornite da Giorgia Rozza: ci ha detto essere stato disegnato da suo nonno il marchio di Burberry sul foulard. Approfittiamo per ringraziarla.