Borsalino evoca subito l’immagine di un cappello, poi quella di un vecchio film con Alain Delon e Jean Paul Belmondo e da qualche mese, precisamente da aprile del 2023, dovrebbe evocare anche quella del nuovo Museo d’impresa, che potrebbe, anzi dovrebbe diventare meta del turismo industriale.
Noi “turisti industriali”
Abbiamo quindi fatto i “turisti industriali” e siamo andati nel periodo festivo appositamente ad Alessandria, per visitare il rinnovato “Borsalino Museum“, come indicato sul biglietto da 12 euro.
La frase riportata in una cartolina promozionale, con le informazioni per l’acquisto del biglietto online e i giorni di apertura (dal giovedì alla domenica, dalle 10 alle 19 (ultimo ingresso 17.30) è questa:
Un viaggio alla scoperta della cultura italiana del cappello
Vi raccontiamo quindi le nostre impressioni sul Borsalino Museum, ricordando che questo è un particolare Museo d’impresa, essendo anche un Museo della moda e del fashion.
La nostra visita al Borsalino Museum
Allo scoccare delle 10.00 del giovedì 4 gennaio eravamo davanti a Palazzo Borsalino, la storica sede della Borsalino di Corso Cento Cannoni, n. 21 ad Alessandria.
L’entrata attuale, rispetto all’immensa fabbrica sorta nel 1857, era originariamente l’accesso dei treni, perchè la Borsalino era addirittura dotata di una linea ferroviaria privata per il trasporto di materie prime e merci.
Questo ci è stato spiegato da un membro del personale del Museo molto competente, all’inizio del percorso, davanti ad un monitor touch screen: ci ha raccontato molti altri aspetti storici interessanti sui fondatori e sulla fabbrica, rispondendo anche alle nostre domande.
La storia affidata alle nuove tecnologie
La guida ci ha poi invitato a scaricare una app sul telefono, che ci avrebbe accompagnato nella successiva visita.
Lo abbiamo subito fatto per vedere non solo i contenuti, ma soprattutto l’impostazione, dato che noi facciamo app.
Questa app però è accessibile solo con un codice da richiedere al personale, cosa che quindi inibisce la libertà di utilizzo, per di più valido solo per la visita, quindi gli interessanti contenuti storici, forse anche troppo approfonditi per una semplice visita, non potevano essere letti successivamente.
Al termine della visita, nel bookshop abbiamo quindi chiesto se fosse disponibile una guida cartacea o addirittura un catalogo, ma non c’era nulla.
Questo è strano per un Museo, come si qualifica questo, soprattutto per un Museo d’impresa della moda e del fashion: ha già fatto lo sforzo di creare contenuti approfonditi per la app e quindi potrebbe banalmente stampare quelli in un’agile guida da vendere ai visitatori, che avrebbero così un ricordo della visita.
In sostanza sia i contenuti nel video iniziale che quelli nella app sono a perdere.
Il lavoratori della fabbrica dentro ad un cappello
Nella prima sala espositiva, ad accogliere i visitatori, c’è una sorta di grande cilindro nero, all’interno del quale è visibile un bel video che mostra tutte le fasi di lavorazione dell’iconico cappello: ben 50 operazioni manuali, nel corso di un periodo di 7 settimane, per piegare al volere dell’artefice il feltro di lapin con acqua e fuoco.
Questa però è l’unica parte della mostra dedicata agli artefici dei cappelli, ai lavoratori della fabbrica.
Nei testi riportati all’inizio dell’esposizione abbiamo trovato indicato qualche dato storico sulla produzione (ad es: nel 1874 dai 5000 cappelli esportati sono passati ai 35.000 del 1888), ma nessun dato numerico dei lavoratori.
Forse c’era nei testi della app…chissà?
Il precedente “Museo del cappello Borsalino”
Nella precedente esposizione “Museo del cappello Borsalino“, inaugurata nel 2006 e poi chiusa per vari anni, pare che invece ci fossero anche immagini e video che narravano il lavoro degli operai e in particolare delle cosiddette “borsaline”, ed anche la produzione in corso nella fabbrica Borsalino, attiva ancora oggi nel polo industriale di Spinetta Marengo (AL) e inoltre la:
- storia dell’arte del cappello e dei fondatori
- sua diffusione
- espansione dell’industria cappelliera dal XIX secolo ad oggi
Questi aspetti sono fondamentali in un Museo d’impresa, perchè, come ha scritto Silvia Messa in un articolo comparso sulla rivista “Millionaire” (06/2022):
molte imprese italiane sono frutto delle scelte e degli investimenti di una famiglia, quella dei fondatori o di chi ne ha raccolto l’eredità. E dei lavoratori che ne hanno condiviso il destino. Loro, come gli imprenditori, sono parte di una memoria collettiva, legata a un prodotto, un marchio.
Un Museo d’impresa, in particolare un Museo d’impresa della moda e del fashion, oggi deve raccontare non solo la storia dei fondatori, attraverso i documenti degli archivi aziendali o d’impresa e di campionario, ma anche la storia dei lavoratori, che nel caso specifico hanno prodotto manualmente e artigianalmente i 2.000 cappelli esposti nel Museo.
Solo così si accresce la advocacy dei dipendenti e il valore del brand!
L’esposizione dei cappelli
La nostra visita è arrivata al suo clou quando, nella sala espositiva successiva, sono apparsi gli splendidi armadi in stile Chippendale, realizzati negli anni Venti da Arnaldo Gardella per la Sala Campioni dell’azienda.
All’interno sono apparsi, disposti in buon ordine sugli scaffali, i circa 2.000 cappelli scelti tra le quattro migliaia di modelli maschili e femminili, ad esempio:
- cilindri
- bombette
- borsalino
- pagliette
- berretti da marinaio
- cappelli da prete
- cloche
Semplici modelli di campionario, ma anche esemplari con una storia e quindi corredati da una didascalia, ma troppo scarna e senza datazione, con il solo nome del modello (es. paglietta), spesso comune, ma anche poco noto, che ci invitava a leggere i relativi contenuti nella app.
L’avevamo scaricata all’inizio, ma non l’abbiamo usata subito, il cellulare è andato in pausa e quindi non funzionava già più e dovevamo inserire nuovamente il codice!
E se non avessimo voluto scaricarla oppure non avessimo avuto uno smartphone? I visitatori più anziani o quelli con scarse competenze digitali, sono penalizzati.
E adesso che vorremmo rivederla per fornire in questo articolo informazioni più dettagliate?
Alla base di qualche particolare vetrina erano delle didascalie più corpose, ma che rimandavano sempre alla app, indicando le tematiche in base alle quali erano raggruppati i cappelli in una determinata vetrina (ad esempio: “Borsalino e le donne”).
Museo d’impresa, collezione o museo Borsalino?
Il caso del “Borsalino Museum” è molto interessante non solo per quello che abbiamo detto finora, ma perché fa riflettere su questo aspetto: cosa abbiamo visitato e cosa abbiamo visto?
Questo nostro articolo è intitolato “Borsalino Museo d’impresa: un nome, un cappello e un museo”, perchè riteniamo che questo sia un Museo d’impresa della moda e del fashion, ma con mancanze significative per esserlo a pieno.
Abbiamo già spiegato in passato cos’è un Museo d’impresa e quali sono i criteri con i quali deve essere realizzato, perchè prima di tutto è un Museo, e che in esso devono essere esposti:
- prodotti, attrezzi e macchinari
- documenti tecnici, amministrativi e commerciali
- manifesti e materiali pubblicitari in genere
- fotografie storiche
- filmati
grazie ai quali si possa ricostruire e quindi presentare al pubblico l’identità dell’azienda e del brand.
Il Borsalino Museum: un Museo d’impresa ancora da completare
In questo Museo però mancano molti degli elementi costitutivi del Museo d’impresa ed in particolare di un Museo d’impresa della moda e del fashion, perchè oltre a qualche attrezzo anche piccolo (anche solo qualche forma in legno per cappelli) sono assenti:
- manifesti, cartoline e materiali pubblicitari
- fotografie storiche e figurini
- documenti amministrativi e commerciali
che costituiscono gli archivi storici dell’azienda. Nella prima sala espositiva, sono appesi solo dei quadri con medaglie ottenute come premi nelle varie esposizioni, un paio di attestati e dei francobolli commemorativi.
Pare impossibile che un’azienda storica e importante come questa non abbia altri documenti da esporre, tenuto conto che era stato incaricato addirittura Marcello Dudovich per la grafica pubblicitaria e che nell’Archivio Marcello Dudovich sono presenti splendidi manifesti Borsalino.
Nella moda si usa dire:
less is more
ma questo ci pare un po’ troppo less…
Inoltre, a quanto ci risulta, ci sono vari fondi archivistici e “Archivi Borsalino” ricchi di documenti, depositati in varie istituzioni alessandrine come:
- Archivio Opere Borsalino, con documenti sul mecenatismo della famiglia
- Fondo fotografico della Borsalino Giuseppe e fratello Spa, con immagini relative alla pubblicità e agli eventi organizzati da Borsalino
- Complesso di fondi Borsalino Giuseppe e fratello Spa con documenti a partire dal 1905
dai quali potevano forse essere recuperati documenti significativi sulla storia aziendale e dei titolari.
Museo d’impresa come strumento di marketing
In sostanza cosa abbiamo visto? Una bella collezione di cappelli, perchè per chiamarsi Museo, deve consentire al pubblico di accedere alle conoscenze connesse agli oggetti esposti, quindi nelle didascalie deve esserci una descrizione, seppur minima contenente almeno: titolo, descrizione, datazione.
Il fatto che siano affidati questi dati solo ad una app e non a tutti accessibili, non è sufficiente: le nuove tecnologie sono utili e importanti, ma non possono precludere la conoscenza.
Abbiamo anche visto una parte o esemplificazione dell’archivio di campionario, esposto nella sede aziendale e nei medesimi armadi in cui erano i campioni nella Sala campioni della azienda, elemento importante per un Museo d’impresa.
Cosa ci è rimasto di questa visita?
- un bel ricordo
- le nostre fotografie
- il folder con i francobolli acquistato al bookshop
- uno sconto per comprare un cappello solo nello storico negozio di Corso Roma, n. 20 ad Alessandria.
Nel sito del Borsalino Museum non c’è un catalogo digitale, per cui gli esperti di storia della moda o gli appassionati non trovano schede tecniche dei cappelli esposti, ma soprattutto non c’è un Museo d’Impresa virtuale®, con show room virtuale e ecommerce, che permetterebbe di acquistare i modelli ancora in produzione.
In questo modo diventerebbe uno strumento non solo di marketing culturale, ma soprattutto di marketing per un brand così prestigioso, che potrebbe essere promosso con il Social media marketing e soprattutto con l’Inbound marketing.